1_Intervista a Letizia Battaglia il 10 maggio 1994 a Roma
Intervistatrice:
È un piacere straordinario averla qui con me oggi per questa intervista. Lei è stata la prima fotoreporter donna in Italia e le Sue foto hanno influenzato per generazioni la percezione della Sicilia e della mafia – come mai nessun altro.
Ma prima di parlare della Sua vita da fotografa, vorrei soffermarmi sulla Sua infanzia e sulla sua giovinezza. Cosa ha caratterizzato in particolare questo periodo della sua vita? So che Lei è nata in Sicilia…
Letizia:
Anche se sono nata a Palermo, ho trascorso otto anni della mia vita con la mia famiglia a Trieste. Lì ho avuto un’infanzia molto spensierata. Quando avevo dieci anni ero felice, libera.
Intervistatrice:
Ma poi si è trasferita a Palermo con la Sua famiglia…
Letizia:
Sì, siamo tornati a Palermo subito dopo la guerra e abbiamo abitato da mia nonna. Ma quando per la prima volta sono andata in giro felice per Palermo ho incontrato un uomo che si è aperto l’impermeabile di fronte a me: era un esibizionista.
Poi sono corsa a casa e l’ho raccontato ai miei genitori. Loro erano molto spaventati e, per paura, non mi hanno più lasciata uscire di casa.
Mio padre fu molto ostinato in questo. E a Palermo, in fondo, era così comune che alle ragazze non fosse permesso di uscire, di giocare all’aperto. Così ho perso la mia libertà.
Intervistatrice:
Questo è stato terribile. Che ha fatto allora, si è ribellata?
Letizia:
No, non potevo ribellarmi, ho avuto pazienza e ho sofferto con calma, ma fuggivo nei sogni, leggevo romanzi, sognavo una vita diversa.
Intervistatrice:
Ma poi, nonostante tutto, ha incontrato un ragazzo e …
Letizia:
Sì, mi sembrava l’unica possibilità di fuggire da quella situazione e da quella vita: il matrimonio con un uomo che mi amava, almeno così sembrava….
Avevo 16 anni e ho sposato Franco Stagnitta, un giovane uomo, accettato dalla mia famiglia, erede di un’azienda di torrefazione. Così ho lasciato la casa dei miei genitori.
Intervistatrice:
Beh, ma non era felice di questo matrimonio…
Letizia:
No, speravo che tutto cambiasse, ma questo è stato un errore fondamentale: cambiavano solo le prigioni.
Mio marito amava farmi regali costosi, vestiti che non ho mai indossato e gioielli che regolarmente perdevo o che qualcuno mi rubava.
Non mi ha mai considerata come una persona, come qualcuno che avesse i propri desideri. Era un narcisista, tutto ruotava intorno a sé e al suo fascino. Non potevo uscire di casa, non potevo studiare.
Intervistatrice:
Lei ha delle figlie e quando sono cresciute è cambiato qualcosa?
Letizia:
Sì, ho 3 figlie, ma anche se penso di essere stata una buona madre, non riuscivo più a sopportare questa vita. Stavo sempre peggio. E poi… poi ho avuto un crollo nervoso, così grave che ho dovuto essere curata in un reparto psichiatrico.
Intervistatrice:
Quindi la psicanalisi Le ha dato la possibilità di riprendersi e recuperare fiducia in sé stessa?
Letizia:
Sì, è stato un viaggio dentro me stessa che ha richiesto una forza enorme. Alla fine, mi aveva portata a essere una persona nuova per poi ripartire …
Intervistatrice:
Ma come è andato il Suo nuovo inizio? È riuscita a far capire a suo marito che non poteva continuare a vivere così…
Letizia:
Purtroppo no, ho dovuto separarmi da mio marito e lui lo ha accettato opponendo una forte resistenza. Così ho dovuto lasciare anche le mie figlie. Ma alla fine è stato l’incontro con il fotografo Santi Caleca a darmi la forza. Poi, all’età di 38 anni, ho finalmente divorziato.
Intervistatrice:
Letizia:
E a cosa ha portato l’incontro con Santi Caleca?
Già nel 1967 avevo conosciuto Santi che mi ha sostenuta nei miei esperimenti con la macchina fotografica ed è stato il mio primo amore dopo il mio matrimonio infelice. Ed era 15 anni più giovane di me. Ricordo di aver vissuto il primo periodo di felicità nella mia vita
Così a 34 anni, nel 1969, ho iniziato a lavorare come giornalista per il quotidiano L’Ora di Palermo. Durante quel periodo ho anche iniziato a scattare fotografie – e Santi, che lavorava come fotoreporter al giornale, mi ha dato molti buoni consigli. A proposito, mi trovai a essere l’unica donna tra colleghi uomini.
Intervistatrice:
Ma poi ha lavorato anche a Milano… come è avvenuto questo cambio di sede?
Letizia:
Sì, nel 1970 ho lasciato tutto a Palermo e mi sono trasferita a Milano con le mie figlie ma senza denaro, per allontanarmi da mio marito, per lavorare come giornalista e fotografa e per stare con Santi. Ho collaborato lì con varie testate giornalistiche ma ben presto ho avuto l’opportunità di fotografare persone del mondo culturale come Pier Paolo Pasolini e Franca Rame.
Intervistatrice:
E questo fu già un primo grande successo per Lei. Ma alla fine è ritornata a Palermo?
Letizia:
Io e Santi – nel 1974 – abbiamo ricevuto dal quotidiano l’Ora la proposta di occuparci dei servizi fotografici e abbiamo deciso insieme di tornare a Palermo.
Intervistatrice:
Ed è stata ancora una volta l’unica donna tra colleghi uomini a documentare gli attentati e delitti mafiosi nella Palermo degli anni di piombo.
Letizia:
Il mio ritorno coincide con un momento particolare per la storia siciliana. Una guerra civile stava devastando la città e io avevo l’opportunità di catturarla con foto esclusive.
Non era facile per me mantenere la calma e la professionalità vedendo tanti bagni di sangue terribili. Ma la mia intenzione era di informare il pubblico e di scuotere le coscienze.
Intervistatrice:
Santi Caleca era tornato a Milano e lei è rimasta a Palermo, un certo Franco Zecchin è apparso poi nella sua vita, cosa ha significato quest’uomo per Lei?
Letizia:
Nel 1975 ho conosciuto Franco Zecchin, che è arrivato in Sicilia ed entrambi finimmo per lavorare l’uno accanto all’altra. Dopo poco ci siamo innamorati. Siamo rimasti insieme nel lavoro e nella vita per ben 18 anni. Lui è stato il mio grande amore.
Inoltre, parallelamente alla fotografia ho collaborato a diversi progetti artistici ed editoriali. Con a fianco Franco, che mi sembrava il più importante dei due, ho fotografato le scene di mafia di Palermo. … e siamo anche stati minacciati per i nostri scatti, per le nostre documentazioni.
Intervistatrice:
Lei ha fatto un lavoro importantissimo documentando la difficile realtà siciliana, il cui culmine fu l’omicidio di Piersanti Mattarella nel 1983. Ma a un certo punto Lei ha deciso di smettere di documentare fotograficamente le vittime della mafia. Perché?
Letizia:
Alla morte di Giovanni Falcone, il 23 maggio 1992, infatti, ho deciso di non accorrere sul posto sebbene fossi a conoscenza della notizia: non avrei sopportato la vista del magistrato antimafia… ucciso dopo che fino all’ultimo aveva combattuto con coraggio.
Dopo le stragi dei giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e l’uccisione di Don Pino Puglisi ho deciso di non voler fotografare più i crimini di mafia. Sono stata molto colpita dall’assassinio dei due giudici, che conoscevo personalmente e che ammiravo, ed ero stanca di tutta la violenza con cui avevo avuto a che fare.
La mia ultima fotografia di questo periodo è il ritratto di Rosaria Costa, la vedova dell’agente di scorta Vito Schifani, ucciso nell’attentato al giudice Falcone.
Intervistatrice:
Questa Sua decisione è facile da capire. Ma c’erano anche altri temi di cui si occupava, suppongo. È una donna molto versatile e impegnata.
Letizia:
Senza dubbio, io guardo alle condizioni sociali della città e della vita siciliana di oggi. Il mio sguardo è rivolto alla dimensione sociale e alla condizione femminile nella società. Mi occupo di degrado sociale, di disoccupazione, di lavoro minorile e anche della vita quotidiana delle donne e delle possibilità di coordinare il loro lavoro con l’educazione dei bambini.
Intervistatrice:
Lei ha scattato molte fotografie ai bambini, specialmente alle ragazze e alle giovani donne. Una fotografia notissima è “La bambina con il pallone” del 1980. Perché, secondo Lei, questo ritratto ha suscitato così tante emozioni?
Letizia:
Questa reazione mi ha colta completamente di sorpresa. Ho scattato la foto per caso quando ho notato un gruppo di bambini che giocavano a palla in fondo a una strada.
Tante emozioni… penso che ciò sia dovuto, in primo luogo al fatto che si trattava di una bambina, di un individuo femminile che si affermava in uno sport tipicamente maschile.
In secondo luogo emerge la povertà combinata con una certa aggressività. E la bambina sembra trasmettere coscienza di sé attraverso la sua posa. Così la foto esprime una speranza di un futuro migliore che permetterà l’emancipazione.
Intervistatrice:
Sono certa che incontrerà molte altre persone speciali nella loro autenticità, e che continuerà a catturare per noi nelle sue foto. Con il suo stile non convenzionale contribuirà certamente a un cambiamento di prospettiva in Sicilia, in Italia e anche molto al di là dell’Italia.
La ringrazio per questa interessantissima intervista e le auguro ogni bene per i suoi progetti futuri.
Letizia:
È stato un piacere, grazie mille per questa conversazione.