Ciao a tutti!
Benvenuti a un nuovo episodio del podcast degli studenti del dipartimento di Romanistica dell’università Heinrich-Heine di Düsseldorf.
Questo podcast è dedicato a chi impara l’italiano e vive in un paese germanofono o a italiani che imparano il tedesco. Cercheremo di mettere in evidenza le differenze tra l’italiano e il tedesco o, come in questa puntata, qualche particolarità di una delle due lingue.
Questo episodio fa parte della rubrica dedicata ai proverbi con riferimento alla cucina e alla tradizione culinaria.
Il mio nome è Sofia e oggi vi parlerò per la prima volta a modo mio di questo argomento.
Vi presenterò una situazione ed alcuni esempi che girano intorno a un solo alimento… Capirete subito di cosa si tratta.
È un ortaggio facile da trovare in tantissime varietà sui banchi di un mercato come nei grandi supermercati. Viene lodato sin dai tempi più lontani per le sue proprietà. Gli antichi lo consideravano una pianta sacra, nata dal sudore di Zeus, afrodisiaco e in grado di curare una quantità di malattie: Sto parlando del cavolo.
Oltre ad essere di grande beneficio per la salute, è un alimento versatile e ci sfida a portarlo a tavola in tanti modi diversi. Essendo però molto economico e commerciale è divenuto simbolo di cosa spregevole oppure di scarso valore e poco pregiato.
Infatti “Non valere un cavolo” significa non valere nulla, nemmeno quanto un cavolo.
Ecco, non solo versatile in cucina, anche nel linguaggio figurato il cavolo è “il re dei modi di dire”.
Da italiana che vive in Germania ovviamente mi trovo molto a contatto con i tedeschi, ancor più all’università con tedeschi che hanno spiccato interesse e curiosità per la lingua italiana.
Dunque, un giorno due coetanee del mio corso mi hanno raccontato emozionate delle loro vacanze trascorse in Italia, precisamente in Toscana. Ed una delle loro esperienze fatte in un bar affollato di Firenze un venerdì pomeriggio, si presta molto bene come esempio per introdurre la puntata odierna di questo podcast.
Loro stavano consumando un caffè al banco. La gran parte dei clienti stavano prendendo un aperitivo, come la coppia di mezz’età affianco a loro.
Quando una delle mie compagne si è alzata per andare via, è inciampata sbadatamente sulla sedia rovesciando il Negroni (n. d. R. tipico aperitivo di Firenze) addosso alla signora affianco, che ha esclamato: “E che cavolo…!”
Al che, la mia compagna accortasi del danno causato e imbarazzata ha chiesto subito scusa. Non conoscendo bene la lingua, ha immaginato che la signora fosse molto arrabbiata, ma non riusciva a capire cosa c’entrasse il cavolo. In più il barista, molto attento, ha offerto aiuto alla signora, che ancora arrabbiata ha risposto: “Fatti i cavoli tuoi!”
La signora è restata nella memoria delle mie due compagne come “la signora dei cavoli”. Ma cosa voleva dire con le sue espressioni?
Dire semplicemente “E che cavolo” esprime rabbia, come ben si può capire nella situazione della signora, alla quale è stato rovesciato addosso l’aperitivo. Della signora arrabbiata si potrebbe dire che era “incavolata”, arrabbiata. Le mie due compagne invece “non ci capivano un cavolo”, ovvero non ci capivano niente.
L’espressione rivolta al barista “fatti i cavoli tuoi” equivale a dire “fatti i fatti tuoi”, che solitamente si usa in risposta a una domanda non gradita o inopportuna. Si potrebbe anche dire “sono cavoli miei”, ovvero “fatti miei”. Insomma, la signora voleva essere lasciata in pace.
Se vi siete incuriositi, vi cito altri esempi:
Fare o dire una “cavolata” significa commettere una sciocchezza, parlare da stupidi; è sinonimo di fare una sciocchezza.
Se una persona è pigra e non fa ciò che dovrebbe fare o se una cosa è inefficace, non mostra l’utilità prevista, si dice che “non fa un cavolo”; cioè non fa niente o non funziona.
Di una cosa completamente fuori luogo e inadeguata si dice che ci sta “come i cavoli a merenda”; cioè è inopportuno.
Un’azione maldestra è seguita dall’immancabile “che cavolo fai”?
Le responsabilità che non si possono schivare diventano “cavoli amari”.
“Andare a ingrassare i cavoli” significa morire e diventare così concime per ciò che cresce nell’orto.
“Andare a piantar cavoli” significa ritirarsi alla vita privata, abbandonare la vita pubblica per un’esistenza più semplice.
“Cavolo” è utilizzato per dare enfasi al discorso. In realtà sostituisce il genitale maschile, quella parolina che inizia anche con “ca…”, attenuando la volgarità che invece potrebbe conferire quest’ultimo alla frase.
Per esempio, se una cosa non vi interessa affatto, potete dire: “Non mi importa un cavolo”, non è volgare, ma resta un’espressione colloquiale e informale.
Bene, spero che vi ricorderete di me e di questa puntata, quando vi capiterà di imbattervi in espressioni come quelle di cui vi ho parlato oggi. O se già vi siete trovati in situazioni “del cavolo” ora sapete bene come poter esprimervi adeguatamente una prossima volta.
Un saluto e alla prossima da Sofia!
Sofia, corso Interkulturelle Kommunikation, Sprachpraxis Italienisch