Cabiria, coraggiosa e combattiva

Sembra essere questo il fil rouge che ci accompagna nella visione del film Le notti di Cabiria di Federico Fellini. Attraverso la veritiera rappresentazione di diversi ceti sociali di quegli anni, vengono raccontate le disavventure della protagonista Cabiria, alias Maria Ceccarelli. Veniamo catapultati dapprima in un mondo fatto di sacrifici e povertà, dove la gente che lo abita è gente semplice. A fare da sfondo alla rappresentazione di questo basso ceto sociale vi è una versione povera della città dell’epoca, costellata da anonimi e imponenti edifici di cemento e un linguaggio autentico e tipicamente dialettale. In un secondo momento veniamo accompagnati in un mondo più abbiente e facoltoso, che sembra ignorare le disgrazie che altre persone al di fuori di quella bolla dorata fronteggiano quotidianamente.

La protagonista Cabiria, contraddistinta da una massima espressività che la rende ai nostri occhi trasparente, ma talvolta anche criptica, è strenuamente alla ricerca di una appagante felicità. Lei stessa è la prima a confondere diverse concezioni di felicità, non sapendo se questa condizione sia rappresentata dall’indipendenza economica, dalla compagnia di una persona amata o da un’ineccepibile immagine di sè stessa. Scortato da una musica malinconica e maestosa questo film affronta molteplici tematiche: le diverse forme di amore, l’intricato concetto di amicizia e un’enfatica rappresentazione della religione. Cabiria concede una smisurata fiducia agli uomini che trova sulla propria strada e che senza pietà la ingannano, ma al contrario non riesce a dare valore alla devota e sincera amicizia di Wanda che a suo modo la vuole proteggere e nutre affetto per lei.

Il personaggio si rivela al pubblico combattivo, coraggioso, profondo, tremendamente schietto e integro nel suo percorso verso la felicità. 

(Testo: Margherita)

Il sorriso di una donna perbène

“Però è vero che ce sta una giustizia, a questo mondo… Uno soffre, ne passa di tutti i colori, ma poi viene il momento d’esser felici per tutti.”

Cabiria, o meglio Maria Ceccarelli, ha sofferto tanto nella sua vita fidandosi di uomini che le promettevano mari e monti. Oscilla tra il non fidarsi mai più di nessuno e lasciarsi tutto alle spalle per ritrovare speranza e fiducia. Alla fine ci casca ogni volta.

Però malgrado la sua ingenuità le sia quasi costata la vita, non smette di credere di poter trovare l’amore vero. Vaga per le strade notturne della Roma degli anni ’50 sperando di trovare la felicità. Ma solo quando ha perso tutto, scopre quello che conta davvero … poter essere felici e contenti di sé stessi e non perdere la voglia di vivere.

Nel suo capolavoro “Le notti di Cabiria” Fellini ci dimostra la falsità dell’umanità e la discrepanza tra l’essere e l’apparire. Usa l’attrezzo cinema per insegnarci a vivere attentamente e non fidarci di nessuno tranne di noi stessi. Riesce a suscitare compassione per la sua protagonista, spingendo gli spettatori a immedesimarsi in Cabiria e nella sua miseria causata da approfittatori e truffatori. Attraverso la musica e l’attenta selezione di location ribadisce le differenze sociali tra i quartieri ricchi di Roma e la povertà della periferia, in cui si trova la nostra protagonista e da cui cerca di sfuggire con tutti i mezzi. Il mondo di Alberto e Oscar è chiaro e allegro, mentre Cabiria e le sue amiche sono circondate da un’atmosfera sinistra e minacciosa.

Fellini ci fa vedere le luci e le ombre dell’uomo, ci fa capire che siamo vulnerabili, ma soprattutto ci insegna a non arrenderci mai e ad andare avanti. Cabiria incarna una forza inesauribile. In un momento non vuole più vivere e chiede a Oscar di ammazzarla, in un altro riesce a sorridere ancora con una lacrima sulla guancia. In lei si impersona la purezza che troviamo solo in poche persone e che colpisce e commuove persino i cattivi.

Oscar D’Onofrio dichiara che “noi possiamo fingerci cinici, calcolatori…possiamo anche credere di esserlo. Ma poi, quando all’improvviso ci troviamo di fronte a un esempio di purezza, di candore, allora la maschera del cinismo cade e tutto quello che c’è di migliore in noi si sveglia.” Rimane un imbroglione, ma nemmeno lui riesce a sottrarsi completamente al carattere sincero, onesto, puro come lo chiama lui di Cabiria che gli avrebbe dato tutto.

La musica e la performance di Giulietta Masina ci fanno sorridere ma allo stesso tempo ci toccano nel profondo. Consiglio questo film a tutti quelli che sono pronti a farsi colpire da emozioni oneste e ingenue e che non hanno perso la curiosità e la serenità come Cabiria – una donna che non si arrende e che non smetterà mai di sorridere.

(Testo: Alina)

Ce ne stanno de morti de fame …

Questa citazione di Cabiria, protagonista del film “Le notti di Cabiria” di Fellini, riassume le numerose disavventure che è stata costretta a vivere. Nonostante nello specifico si riferisca all’elevato tasso di povertà nel quale riversano molti abitanti della capitale, analizzando il comportamento delle persone che Cabiria incontra nel corso del film, ritengo questa frase adatta ad una più ampia interpretazione.

Nel corso del film sono diverse le figure maschili che accompagnano Cabiria, e certamente non per il mestiere della protagonista, è infatti una prostituta, tutte però sono accomunate da un comportamento infimo e spregevole nei confronti della malcapitata; dalla scena iniziale a quella finale, lo spettatore ha ben chiara la travagliata vita amorosa di Cabiria.Se la prima scena sembra essere abbastanza forte, la situazione non migliora quando incontra Alberto Lazzari, divo del cinema. I due passano una serata in giro per Roma, solo perché il noto attore ha avuto un diverbio con la sua fidanzata, Dorian Gray.
Ma è con Oscar D’Onofrio che si raggiunge l’apice. Dopo essere stata derisa durante uno spettacolo di varietà, Cabiria viene avvicinata e consolata da uno sconosciuto, Oscar. Sebbene in un primo momento si dimostri un uomo gentile e innamorato, quando Cabiria vende tutti i suoi averi in vista del matrimonio, si rivela “un morto de fame”. È intenzionato addirittura ad ucciderla pur di derubarla e fuggire con la sua borsa.
Ma nonostante tutte le vicissitudini e le delusioni che ha subito, l’instancabile Cabiria trova la forza di reagire lasciando tramite un sorriso un messaggio allo spettatore . . . “Però è vero che ce sta una giustizia, a questo mondo… Uno soffre, ne passa di tutti i colori, ma poi viene il momento d’esser felici per tutti.”

La visione di questo film è altamente consigliata, complice una regia eccellente del maestro Fellini e un’interpretazione magistrale di Giulietta Masina: protagonista indiscussa del film, tutto ruota intorno al suo personaggio dalla prima scena all’ultima. (Testo: Carmine)

Aiutati che Dio ti aiuta.

“Siamo rimasti tutti quelli di prima” urla Cabiria, mentre corre agitata e presa dalla disperazione, dopo aver chiesto invano la grazia alla Madonna per una vita migliore.

Le padrone di “Le notti di Cabiria” sono proprio le notti di una donna di strada, interpretata da Giulia Masina, che si trova ad affrontare una grossa delusione d’amore: la protagonista capisce che il fidanzato, Giorgio, non l’ha mai amata veramente quando la spinge in acqua, derubandola e lasciandola affogare. Questa prima scena “Le notti di Cabiria”, girato da Fellini nel 1957, scandisce anche il ritmo dell’intero film.  

Ogni giornata fa scoprire un tassello mancante sulla personalità e sulla storia di Maria Ciccarelli, detta Cabiria, come se il film fosse costituito da tante puntate tragicomiche collegate fra loro. L’attenzione non viene mai posta sulla sua professione ma sulla sua speranza di cambiare vita.  È un gioco di illusioni e disillusioni.

Durante la prima notte, Cabiria incontra un attore famoso. Quello che potrebbe sembrare un incontro fortuito, non porterà in realtà a nessun lieto fine. Il film prosegue con un susseguirsi di eventi che puntualmente si rivelano infelici fino ad un’ultima tragica rivelazione: Cabiria si ritrova al punto di partenza, sola e ingannata, ma con la forza di rialzarsi.  

Oltre al contrasto tra l’apparente carattere cinico e l’ingenuità infantile di Cabiria, ci si ritrova a dover fare i conti con l’opulenza della “Roma bene” e l’indigenza della classe proletaria romana di quel periodo. L’emblema di questo sono proprio le due opposte condizioni abitative proposte nel film: il lussuoso appartamento in città e la casupola in periferia di Cabiria.

Anche il registro linguistico riflette questa opposizione. Cabiria e i suoi conoscenti usano prevalentemente espressioni in gergo romanesco, mentre gli altri personaggi, ad esempio l’ipnotista, si avvalgono di una lingua priva di interferenze dialettali.

Consiglio la visione di “Le notti di Cabiria” perché propone un interessante scorcio su Roma e sulla società italiana di fine anni 50. Da una parte, si nota una società conservatrice attaccata alla religione e dall’altra le necessità della parte più povera della popolazione che la sola fede non riesce a soddisfare, così Cabiria si ritrova a dover contare solo sulle proprie forze.

(Testo: Irene)

Gelsomina, buffa e tenerissima

Credo di aver fatto il film perché mi sono innamorato di quella bambina- vecchina un po’ matta e un po’ santa, di quell’arruffato , buffo, sgraziato e tenerissimo clown che ho chiamato Gelsomina e che ancora oggi riesce a farmi ingobbire di malinconia, quando sento il motivo della sua tromba.

È con queste parole che il regista Federico Fellini descrive Gelsomina, la sfaccettata protagonista del suo film La strada.

Ma chi è Gelsomina?  E come si presenta agli occhi attenti del pubblico?

Il film inizia proprio con una triste svolta del suo destino, che la vede è costretta a partire per aiutare la sua bisognosa famiglia per partire con il saltimbanco Zampanò, che qualche anno prima aveva già “portato con sé” la sorella maggiore che di lì a poco sarebbe morta. Il rude Zampanò è un artista viaggiante che tenta di guadagnarsi da vivere con improbabili spettacoli in giro per l’Italia; una nazione, nei primi anni ’50 ancora molto povera e contadina. 

Gelsomina, ancora impreparata ad affrontare il mondo reale, viene scelta da lui come aiutante che lo dovrà assistere e accompagnare in ogni pezzo; vestita da clown dovrà introdurre il pubblico all’esibizione e presentare l’artista con la tromba. Da subito si può comprendere che Gelsomina sia una ragazza ingenua, ma al tempo stesso curiosa. Avendo molta voglia di conoscere il mondo e chi la circonda, assilla Zampanò con le più fantasiose domande, spesso dimenticando il loro gerarchico rapporto, ma è anche pronta ad assecondare ogni sua richiesta, nonostante lui non si prenda cura di lei nel modo giusto.

Ma le caratteristiche che il pubblico ha modo di apprezzare maggiormente sono quelle della Gelsomina sensibile e buona, che pur venendo spesso bistrattata e trascurata, si mostra sempre fiduciosa e riconoscente.

Lo dimostra non abbandonando Zampanò, bensì rimanendogli fedele, quando le viene proposto di seguire il mondo del circo, ricco di opportunità. Buona, perché anche davanti a un Bambino malato, che a quei tempi veniva tenuto nascosto come un motivo di vergogna, sente solo la voglia di provare a farlo sorridere senza alcun pregiudizio. Sensibile perché è una Gelsomina che viene profondamente scossa dall’aggressione al suo amico il Matto, e che, sentendosi responsabile per l’episodio, non riesce più a vivere serenamente. Fino alla fine dei suoi giorni ripeterà “Il matto sta male” senza darsi pace.

Gelsomina viene apprezzata dal pubblico per le sue massime capacità espressive: dal suo viso traspaiono sempre stupore e meraviglia. È una protagonista che fa tenerezza e come afferma il regista genera “un senso di malinconia” poiché, rappresentando sulla scena tante peculiarità della vita, familiari a ognuno di noi, si rende autentica e amabile.

LA TRADUZIONE DEI REALIA: FANTASIA O VERITÀ?

„Um Goethe übersetzen zu können, braucht man einen Einblick in die Geschichte“

Es ist 12:30 Uhr und die Workshopteilnehmerinnen sind bereits im vorgesehenen Raum eingetroffen, um sich den Vortrag von Frau Laura Balbiani von der Università della Valle d’Aosta anzuhören. Das Thema lautet: “la traduzione dei realia: fantasia o verità?“, es geht also um die Übersetzung von Realien. Der Workshop aus dem Bereich „Literarische Übersetzung“ ist bereits der zweite dieser Art (Bericht: https://blogs.phil.hhu.de/italblog/2018/07/22/workshop-literarisches-uebersetzen/).

Auf den Tischen liegen bereits die im Vorfeld selbst angefertigten Übersetzungen aus Goethes autobiographischem Text: „Aus meinem Leben. Dichtung und Wahrheit“. Nach einer kurzen Einweisung in den Tagesablauf beginnt die Gastdozentin mit einer allgemeinen Einführung zum Thema Realien und erzählt anschließend einige biographische Ereignisse aus Goethes Leben, die relevant für die Übersetzung sind. „Goethe war kein besonders guter Schüler und auch kein guter Student.“ Das erheitert die Stimmung und motiviert die Teilnehmerinnen, denn alle wissen, was für ein Meisterliterat er doch geworden ist.

Nun sind die Studentinnen an der Reihe, zusammen mit der Gastdozentin ihre Übersetzungen zu diskutieren. Dabei stellt sich schnell die Problematik der Realien heraus. Wörter wie „Geräms“ und „Topfbrett“ sind bestimmte landeskonventionelle und kulturelle Elemente die Goethe verwendet, die aber nicht einfach zu übersetzen sind. Daher vertieft die Gastdozentin anschließend die Theorie der Realien und erklärt, dass diese in drei Kategorien eingeteilt werden: 1. in geographische, darunter fallen auch meteorologische und artenspezifische Begriffe, z.B. Wattenmeer, Tsunami und Koala, 2. in ethnographische wie z.B. Begriffe aus dem Alltagsleben, der Arbeit aber auch der Kunst, Kultur und Religion und 3. in politisch-soziale Realien aus den Bereichen Organisationen, Institutionen, Administration und Militärwesen. Wobei eine klare Abgrenzung zu z.B. technischen Begriffen, in unserem Fall spezifisch zum Militärwortschatz, nicht immer möglich ist.

(Prof. Laura Balbiani)

„Eine Übersetzung ist ein dynamischer Prozess und die Suche nach einem Gleichgewicht“, erklärt sie und stellt daraufhin einige Übersetzungsstrategien vor. Sie fügt hinzu: „um Goethe übersetzen zu können, braucht man einen Einblick in die Geschichte. Es bedarf an Hintergrundwissen und manchmal sogar an stundenlanger Recherche für eine einzige Vokabel.“ Abschließend gibt Frau Balbiani den Studentinnen einige Tipps zu Fehlern, die die SchriftstellerInnen selbst machen. Die ÜbersetzerInnen müssen sich sehr gut über Realien und Fakten informieren, auch wenn es am Ende Goethe ist, den man korrigieren müsse. Die Recherchearbeit zu ihrem aktuellen Projekt hat nämlich gezeigt, dass es mehrere Unstimmigkeiten gibt, wie bei der Bezeichnung einer Person im Text (Silberschlag, vgl. 443) und dem Namen in der Realität (Süßmilch).

„Der Einblick in die Praxis einer Übersetzerin, den Frau Balbiani uns gewährt hat, war sehr hilfreich. Den Prozess bei der Anfertigung einer Übersetzung, den kriegt man ja als Leser gar nicht mit. Um so spannender war es, die Überlegungen und Entscheidungen vor der Veröffentlichung mitzukriegen und sogar mitzudiskutieren“, so eine Workshopteilnehmerin gegen Ende um 16 Uhr.

( Text: Aylin)