Giro giro tondo

„Se non si può avere il tutto, il nulla é la vera perfezione.“

La vita di Guido, un regista famoso con un blocco creativo, si è trasformata negli anni in un girotondo di persone che gli ruotano costantemente attorno. La moglie, l’amante, gli amici e poi ancora i tecnici, i produttori e gli attori. Ognuno vuole, chiede, pretende qualcosa da lui che si trova al centro di questo cerchio che compie un giro vizioso e tortuoso. Per questo é incapace di ritrovare il suo posto, di distinguere le voci in questo vortice e ammettere di non sentire più nemmeno la sua stessa voce. Infatti la crisi si rivela sia professionale che esistenziale. Così il film presenta un susseguirsi confusionario di persone, di ricordi di una gioventù in tutto e per tutto ormai lontana e di eventi appartenenti alla realtà e alla fantasia.

Tra le figure che lo tormentano spicca quella dell’intellettuale, che rappresenta il suo più critico e cinico. È proprio lui a proferire le parole riportato all’inizio, facendogli notare che se non riesce a raggiungere la perfezione, non vale la pena nemmeno provare a fare qualcosa. Lo incita così ad abbandonare i progetti per il nuovo film in un momento di debolezza. Il suo discorso é duro e poco costruttivo: „E a lei che cosa importa cucire insieme i brandelli della sua vita, i suoi vaghi ricordi, o i volti delle persone che non ha saputo amare mai?

Alla fine tutti, persone reali e personaggi immaginari, diventano parte di un enorme girotondo. Guido si unisce al loro cerchio festoso, prendendoli per mano, e accettandosi pienamente una volta per tutte.

(Testo: Irene)

Otto e mezzo

Otto e mezzo, titolo sicuramente originale per il film che ha regalato a Fellini il suo terzo oscar; questo è il numero di film a cui il regista ha dato vita.

Come protagonista troviamo ancora l’eterno Marcello Mastroianni, questa volta nei panni di Guido, un regista che sta attraversando un momento di vita difficile.

La dimensione del sogno è quella che viene utilizzata per raccontarci le sensazioni e le emozioni di Guido, ed è proprio così che si apre il film, lo spettatore viene catapultato in un incubo del personaggio, che intrappolato nella sua auto, è in cerca di una via di fuga.

Il momento di difficoltà che Guido sta attraversando si diffonde a macchia d’olio in tutti gli ambiti che fanno parte della sua vita, vive un momento poco sereno in famiglia, nel lavoro e con sé stesso. I tuffi nel passato e gli incontri con altre persone non lo aiuteranno a salvarsi da questa insoddisfazione che lo abita, ma bensì la consapevolezza che a poco a poco si farà sempre più chiara dentro di lui. Metaforicamente sarà la rinuncia alla realizzazione del tanto agognato film a mettere un punto a tutte le tormentate domande di Guido.

Lo spettatore scoprirà insieme al protagonista che è solo l’approvazione del proprio essere a concedere una riconciliazione.

(Testo: Margherita)

La dolce vita

La dolce vita, un’espressione così radicata nella cultura italiana eppure così eclettica al tempo stesso. Ci siamo mai chiesti cosa vuol dire?

Dietro questo iconico e celebre concetto si celano diversi significati.

La visione del film è per lo spettatore un eccentrico viaggio per una sfolgorante Roma. Il ruolo che la sfavillante città svolge nel film è centrale: Roma non è solo lo spazio in cui la trama prende vita, ma soprattutto la rappresentazione dell’Italia che Fellini vuole raccontare. È la metropoli ideale in cui affermarsi e cercare un futuro sospirato, ma è anche luogo di perdizione in cui vizi e perversioni hanno la meglio.

È proprio a Roma che il protagonista del film, l’intramontabile Marcello Mastroianni vive situazioni mondane e spesso surreali che lo portano a perdere sé stesso e le sue aspirazioni. Marcello conosce così la dolce vita, un modo di vivere frivolo, leggero e voluttuoso; lo spettatore lo vedrà scivolare superficialmente e gradevolmente sulle cose invece di viverle appieno.

Fellini prova a raccontare con fascino e ironia un mondo scintillante, attraente e reale; decidendo comunque di non tacere le contraddizioni e le insoddisfazioni che questo tipo di esistenza porta con sé.

(Testo: Margherita Bolognesi)

“Questa è proprio l’arte che preferisco, quella che penso servirà domani: un’arte chiara, netta, senza retorica, che non dica bugie, che non sia adulatrice.”

„La dolce vita“ è considerato uno dei capolavori di Fellini e tra i più celebri film della storia del cinema a livello mondiale.

Il protagonista di questo film, Marcello Rubini, è un giornalista che si occupa di servizi scandalistici, ma la sua reale vocazione è quella di diventare uno scrittore di successo.

La domanda che sorge spontanea è “Cos’è realmente la dolce vita?”

La dolce vita è un mito. È il mito di quella Roma da sogno, turistica e malinconica, che dorme di giorno per svegliarsi ogni sera in via Veneto. Il titolo quindi gioca con amara ironia, sulla contraddizione che si manifesta nelle vicende tra l’idea di vivere sotto i riflettori, facendo una vita dolce, e la disperata e precaria esistenza che finisce poi per colmare lo schermo.

La „dolce vita“ si dimostra quindi priva di significato, distruttiva e mendace, ma il suo fascino e la sua attrazione sono comunque ampiamente diffusi. Quell’agognato desiderio di ritrovare sé stesso, di scoprire dove risieda davvero la sua felicità, è ciò che sembra motivare Marcello nel ricercare conferme proprio nei personaggi che lo circondano. Come scrittore vuole dire qualcosa di essenziale, ma non è in grado di farlo: non c’è niente di essenziale da dire.

In “La dolce vita” la crisi di Marcello ruota intorno al mondo in cui lui vive che viene rappresentato come frivolo. Ma non è solo la storia di un giovane uomo ma è anche quella di un vivere adagiati, immersi, perdendo le aspirazioni in Via Veneto, nei salotti dei nobili. Di festa in festa, di donna in donna, Marcello è sempre più insoddisfatto del suo presente, inebetito da tutto il bello che gli sta intorno.

Un momento di svolta nella storia sarà costituito dal suicidio di un caro amico del giornalista, che raccoglieva in sé tutte le più profonde aspirazioni di Marcello e rappresenterà per il protagonista l’allegoria della morte di tutti gli ideali in cui egli credeva.

Nel finale del film forse Marcello ritrova la speranza in quella mano che gli viene protesa dalla giovane fanciulla sulla spiaggia, forse troppo tardi perché egli possa davvero riconoscerla.
 Oppure finirà forse per diventare anche lui, come nella scena finale, un derelitto senza vita, trascinato dalla corrente.

(Testo di Carmine)

“Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso”.

Per un’analisi del film „8 ½“ di Fellini è impossibile non partire da questa citazione di Marcello Mastroianni, protagonista del film. Nel film infatti regna il caos, il mistero e la confusione ed è compito dello spettatore ricollegare le varie immagini che si susseguono.

Lo stesso titolo del film è frutto di confusione e mistero: questa pellicola viene dopo sei film interamente diretti da Federico Fellini („Lo sceicco bianco“, „I vitelloni“, „La strada“, „Il bidone“, „Le notti di Cabiria“ e „La dolce vita“) più tre „mezzi“ film, in quanto diretti con altri registi (Luci del varietà, Agenzia Matrimoniale e Le tentazioni del dottor Antonio), perciò la scelta di chiamarlo 8 e ½.

Il film descrive i problemi e le difficoltà del regista alle prese con la creazione di un film. È incentrato sul regista Guido, interpretato da Marcello Mastroianni.
 Guido incontra produttori che lo mettono sotto pressione, critici che gli spiegano il film, ecclesiastici che decidono cosa è e cosa non è permesso, attori e attrici che lo ispirano. Ma il film che è in gioco non si realizza. Non c’è una sola scena delle riprese. È considerato un film che parla del film stesso mentre è in lavorazione.

In „8 ½“ i problemi personali di Guido e la crisi creativa professionale sono i temi principali. Questo si esprime nel fatto che Guido è in gran parte incapace di agire. Guido reagisce passivamente alle conversazioni e alle richieste degli altri; incontra costantemente immagini che lo perseguitano come ad esempio immagini di infanzia, incontri immaginari o reali con le persone. I diversi livelli di realtà, sogno, memoria, immaginazione e fantasia si intrecciano spesso senza soluzione di continuità. Spesso non è chiaro se a un certo punto si tratta solo di immaginazione o di un evento reale. Si passa da una scena all’altra senza un collegamento ben preciso.

Guido è protagonista ma allo stesso tempo si incontra nelle sue proiezioni. I ricordi e le fantasie sono a loro volta parte di un progetto cinematografico. Il film è costruito come un monologo interiore con Guido al centro, ma il film di Guido non è il film di Fellini, ma sono visivamente indistinguibili. Questo disordine è ciò che è alla base dell’ordine del film: è il film che viene creato e non creato contemporaneamente. È già il film di Fellini, dove il fallimento del progetto di Guido è il successo di Fellini.
 Il film inizia con Guido bloccato in auto. Gli altri guidatori lo fissano. Questo inizio è paradigmatico per l’intero film per due motivi:

  1. La minaccia per Guido sono gli sguardi, ovvero le aspettative degli altri che vogliono e pretendono qualcosa da lui.
  2. L’impossibilità di capire se le immagini sono reali o meno. Sembra esserci un inizio narrativo, ma poi Guido vola. È reale o finzione ciò che abbiamo visto?

La conferenza stampa e la presa di coscienza che non ci sarà nessun film rappresentano due punti di svolta che portano ad un finale aperto.
 Nel primo finale Guido non produrrà nessuno film perché troppo confuso, troppo disordinato, troppo simile alla sua vita per poter rappresentare un’opera.
 Nella seconda possibilità il rifiuto di Guido di realizzare un film lo riporta in vita.
 Il film ora si fa, vede sfilare tutti i personaggi ed entra mano nella mano con la moglie nel cerchio.
 Ed è così che, unendosi ai personaggi, diventa egli stesso un personaggio del suo film o meglio del film di Fellini. Guido non è più un regista e quel posto da regista può essere preso solo da qualcuno che è esterno alla trama: Federico Fellini.
 Ecco che inizia „8 ½“.

(Testo: Carmine)

L’ispirazione è la vita.

Con „Otto e mezzo“ Fellini ha girato un film completamente diverso dai suoi film precedenti. Questa opera non è una riflessione sulla società, ma mostra la crisi che attraversano gli artisti quando l’ispirazione viene a mancare e cominciano a dubitare di sé. Così il protagonista principale, Guido Anselmi, interpretato da Marcello Mastroianni, chiede a sé stesso; “Una crisi di ispirazione? E se non fosse per niente passeggera signorino bello? Se fosse il crollo finale di un bugiardaccio senza più estro né talento?” Così le scene cambiano spesso fra eventi reali e quelli nell’immaginazione di un Guido in cerca dell’ispirazione.

Si ha l’impressione che il film sia soprattutto uno sguardo alla vita di Fellini e che Guido, un regista di 43 anni come Fellini a quel tempo, sia il suo sosia. Per esempio, oltre la crisi che anche Fellini ha attraversato nella sua vita, una scena mostra la tensione che Guido prova quando sua moglie e la sua amante vengono a trovarlo allo stesso tempo. Accanto alla moglie, Giulietta Masina, anche Fellini ha avuto una lunga relazione con un’altra donna, Sandra Milo, che infatti, ha interpretato il ruolo dell’amante nel film. Il sogno ad occhi aperti di Guido, in cui le due donne si ammirano una l’altra e diventano amiche, si potrebbe immaginare essere il desiderio nascosto di Fellini stesso.

Non solo il tema ma anche il modo di girare e la musica in „Otto e mezzosono diversi rispetto agli altri film. Spesso i personaggi sono stati ripresi da molto vicino – come si dice ad Hollywood “very close shot” – e la musica è spesso drammatica (sottolineando la crisi), talvolta da sogno (riflettendo il gioco d’alternanza con l’immaginazione), ma sempre moderna e conosciuta.

Dove trova un regista disperato l’ispirazione? La cerca nell’infanzia, nei genitori, in una donna immaginata antica e perfetta, nella chiesa, ma senza successo. Mostrando il rapporto ambiguo che Fellini ha avuto con la chiesa, l’ha presentata nel film non solo come un’istituzione che vieta il piacere della carne ma la felicità in generale. Quando Guido dice a un prete che è infelice, lui risponde, “Perché deve essere felice? Non è il Suo compitò”. Alla fine, Guido rendendosi conto che l’ispirazione si trova in tutto il mondo, proprio nella vita, ritrova forza e coraggio e dice alla moglie; “È una festa la vita, viviamola insieme”.

(Testo di Jamuna)

La crisi creativa di Fellini

“Otto e mezzo” è un film italiano di Federico Fellini del 1963. Il film ha caratteristiche autobiografiche e affronta i problemi e l’angoscia di un regista. Il film mostra molti parallelismi con la vita di Fellini.

In primo luogo Guido Anselmi è un regista che ha perso la sua ispirazione e si sente incapace di finire il suo nuovo film. Si ritira in un centro benessere, ma ben presto tutte le persone a cui voleva davvero fuggire compaiono lì: il suo sceneggiatore, il suo produttore, sua moglie e la sua amante. Non può scappare, solo i sogni ad occhi aperti l’aiutano. La produzione del suo film è in pieno svolgimento, ma Guido Anselmi soffre di una crisi creativa. Guido Anselmi è completamente confuso, non conosce vie d’uscita e non ha risposte alle domande degli attori. Guido si ritira sempre di piú nei suoi sogni ad occhi aperti per sfuggire al mondo. I sogni ad occhi aperti sono ricordi o immaginazioni, per esempio il sogno di un harem, in cui tutti sono ai suoi piedi. Il passaggio dalla realtà al sogno è graduale. Il girotondo collettivo danzante alla fine è molto significativo. Guido non ha ancora superato la sua crisi, ma ha già un’idea di cosa sia importante nella vita e ha cominciato a vederla come una festa. Questa visione della vita è sostenuta dai clown e dalle persone del circo che prendono parte alla danza.

Lo stesso Fellini era in una crisi creativa al momento del film come Guido Anselmi: avevaproblemi a dare una struttura al film e a trovare una trama chiara. Inoltre, si parlava di una sua relazione con un’altra donna. Come Guido Anselmi, Fellini non aveva ancora completamente superato la sua crisi. In una intervista Fellini disse:

L’ho girato senza vedere mai nulla di quello che facevo, perché era in atto uno sciopero di quattro mesi di tutti gli stabilimenti di sviluppo e stampa. Rizzoli voleva fermare il film, Fracassi, il direttore di produzione, si rifiutava di proseguire la lavorazione. Ho dovuto impormi, gridare, per obbligare tutti a continuare ugualmente. Ed è stata la situazione ideale. Perché a me sembra che quando vai a vedere giorno per giorno il materiale girato, vedi un altro film, vedi cioè il film che stai facendo, che comunque non sarà mai identico a quello che volevi fare. E il film che volevi fare, avendo questo continuo termine di paragone nel film che stai veramente facendo, rischia di mutarsi, si affievolisce, può sparire. Questa cancellazione del film che volevi fare deve avvenire, sì, ma soltanto alla fine delle riprese, quando in proiezione accetterai il film che hai fatto e che è l’unico film possibile. L’altro, quello che volevi fare, avrà avuto così soltanto una sua determinante funzione di stimolo, di suggerimento e ora dinanzi alla realtà fotografata non lo ricordi nemmeno più, si è come scolorito, sta scomparendo.

(Federico Fellini, “Fare un film”)

Secondo Michael Töteberg, un regista tedesco, Fellini è stato fortemente influenzato da Carl Gustav Jung che vede i sogni come rappresentazioni metaforiche del subconscio. Si potrebbe allora dedurre che il film rappresenti la vita di Fellini in un modo metaforico. Sembra che Guido Anselmi sia l’alter ego di Federico Fellini e che Fellini provi ad rielaborare i suoi problemi con il film.

“Otto e Mezzo” non ha una trama ben definita come altri film di Fellini, ma ha molta profondità a livello psicoanalitico. Che il film sia davvero autobiografico o che sia pura coincidenza non è in fondo così importante. “Otto e Mezzo” entusiasma ancora oggi, perché gli argomenti che affronta appartengono ad ogni generazione in ogni momento storico.

Lui, lei e le altre

“Tu sei tutto… tu sei moglie, amante, amica, sorella, mamma” è uno dei complimenti fatti dal protagonista del film La dolce vita a una delle tante donne che vorrebbe conquistare. Emma, Sylvia, Maddalena, Fanny non sono niente di tutto ciò per Marcello che non sa né chi è né cosa vuole. Di lui sappiamo solo cosa NON è: non è un compagno fedele, non è un figlio devoto, non è un amico sincero e non è nemmeno contento di sé.

La sua incertezza rispecchia il crucio dell’uomo moderno e per questo il film risulta ancora molto attuale. La vita del protagonista ruota attorno alle donne di cui costantemente si invaghisce un po’ per noia, un po’ per abitudine. La fidanzata, Emma, infatti lo opprime e lo tiene intrappolato in una relazione stanca e, a tratti, malata. Maddalena non è che il suo alter ego femminile: sembrano perfetti l’uno per l’altra ma neppure lei è felice e sa cosa vuole veramente dalla vita e dalla loro relazione. La bellissima Sylvia, famosa per l’iconica scena sulla fontana di Trevi, invece, rappresenta una delle sue tante, effimere infatuazioni. Fanny, l’attraente ballerina francese che lavora in un night club frequentato dal protagonista, è una delle sue innumerevoli “scappatelle”. La ballerina infatti elogia il padre di Marcello come un vero gentiluomo, facendoci intendere che il figlio non si fosse comportato bene con lei.

Tra i diversi incontri di Marcello con personaggi femminili, emerge la figura di Paola, una ragazzina che lavora come cameriera in una trattoria sul mare, di cui Marcello nota la precoce bellezza, che sembra riuscire a far luce per un momento sulla vita di Marcello. A lui confida spontaneamente il desiderio di diventare dattilografa e sempre a lei viene affidata l’inquadratura finale. A lei che sorridente, mentre riconosce Marcello sulla spiaggia, vuole comunicargli di essere riuscita a coronare il suo sogno, ma Marcello non è più quell’uomo che poco tempo prima si era fermato a parlare con lei e non la capisce o addirittura non vuole capirla. Tra di loro si è creata una distanza, non solo fisica, che non si riesce più a colmare. Ora Marcello è del tutto disincantato, non ambisce nemmeno più a scrivere testi letterari o a trovare l’amore, seppur fugace. Ha completamente abbandonato le sue aspirazione, non si chiede nemmeno più chi è e cosa vuole.

Apparenza e realtà

“È meglio una vita miserabile […] che l’esistenza protetta da una società organizzata in cui tutto sia previsto, tutto perfetto”.

Il film La dolce vita di Fellini del 1960 è conosciuto in tutto il mondo per la scena in cui la protagonista Silvia, interpretato da Anita Ekberg, fa il bagno nella Fontana di Trevi e Marcello, interpretato da Marcello Mastroianni, sfiora le sue spalle. Inoffensiva per le norme di oggi quella sequenza ha provocato in quel tempo un grande scandalo.

Il film deve essere visto nel contesto di un’Italia nel boom degli anni Sessanta in cui i principi e valori della società stavano cambiando.

In un episodio, Marcello segue Maddalena, la figlia di un ricco personaggio per scrivere un articolo e poi passa la notte con lei. Siccome lui non ritorna a casa quella notte come altre, la sua fidanzata tenta di suicidarsi. Marcello è sconvolto e teme di perderla, ma questo non lo porta a cambiare il suo comportamento. Fellini mette a confronto la natura degli uomini che vogliono libertà, anche per quanto riguarda l’amore, e il dovere di fedeltà imposto da un rapporto fisso.  

Nella famosa scena della  Fontana di Trevi Marcello, sfiorandole lespalle, dice a Silvia “Sei la prima donna del giorno della Creazione. Sei la madre, la sorella, l’amante, l’amica, l’angelo, il diavolo, la terra, la casa„. Questa frase spiega che ciascuna donna ricopre diversi ruoli. Anche se viene rispettata come madre e come sorella, nonostante ció donne, belle come Sylvia vengono considerate dagli uomini come oggetti sessuali.

Ancora facendo un confronto fra apparenza e realtà nella società, Fellini mostra la storia di un intellettuale, Steiner. Marcello crede che Steiner abbia tutto quello che un uomo potrebbe volere nella sua vita: il successo, una casa grande, bambini bellissimi, amici interessanti. Ma è infelice a causa delle costrizioni della società; lo si capisce quando dice “[è] meglio una vita miserabile […] che l’esistenza protetta da una società organizzata in cui tutto sia previsto, tutto perfetto”. Un giorno, non essendo più capace di sopportarlo, ammazza i suoi piccoli e poi sé stesso.

Il film La dolce vita è uno specchio che mostra le contraddizioni, le costrizioni e i miti che esistono nella società. Se l’esistenza fosse regolata e prevista dalla società come dice Steiner, la vita non sarebbe dolce, ma amara.