„Io sono a me stesso tetto, finestra e focolare; le mie parole sono il mio cibo, i miei pensieri, la mia bevanda: dunque sono felice“.

Queste sono parole, che se collocate al tempo dell’uscita del film, possono fornire un ulteriore punto di vista. È il 1965 e in Italia si inizia a parlare di legge sul divorzio. Impossibile quindi non pensare a questo film come ad una descrizione della condizione della donna a quel tempo. Giulietta Boldrini, quindi, è la donna. La donna della buona società romana che sembra avere tutto: ricchezza, prestigio e un marito brillante. Ma la realtà è diversa perché la relazione con il marito non è idilliaca, lui, infatti, la tradisce. Giulietta inizia il film tra le braccia del marito, perdutamente innamorata di lui tanto da perdonargli tutto. Giulietta è la donna che vive di amore, che ama nonostante tutto, la donna che senza amore non vive ed entra in crisi. A pesare su di lei, inoltre, c’è l’educazione cattolica ricevuta in collegio, che la tiene ancorata a convenzioni che di lì a poco verranno superate. Comincia a frequentare diversi veggenti, ma soltanto con la temuta conferma dell’infedeltà del marito e il riavvicinamento alle sue origini, Giulietta si libera del caos interiore e dalle infedeli braccia del marito. Finalmente Giulietta è libera, libera dal matrimonio, dalla crisi coniugale e dai tradimenti. Finalmente Giulietta è la donna che può contare su di sé, il tetto, la finestra, il focolare . . . dunque è felice.

(Testo di Carmine)

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italblog

Lektorin für Italienisch an der HHU / Romanistik

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