Un gioco di alternanza.

Tutta la mia vita è piena di gente che parla, parla, parla… Andatevene! Fuori tutti di qui!

(Giulietta degli Spiriti)

Girato nel 1965, Giulietta degli spiriti è l’undicesimo film del grande regista Federico Fellini e il suo primo film a colori. Con sua moglie, Giulietta Masina, nel ruolo principale, Giulietta degli spiriti ha vinto il Golden Globe nella categoria Migliore film Straniero.

Il film esplora la sfera psicologica secondo un gioco di alternanza fra realtà e immaginazione. Infatti il cambio frequente fra avvenimenti e persone reali ed eventi e creature immaginate da Giulietta è la cosa che distingue questo film e lo colloca tra le opere postmoderne. Quel cambio serve a indagare le paure e i desideri subconsci di una persona.

Giulietta vede frequentemente persone che non esistono o che sono esistite in un tempo passato.  Loro chiamano, fanno conversazioni con lei e le danno spesso diversi consigli. Alcune di loro si vestono e comportano in modo di un po’ osceno. Un flashback nell’infanzia della protagonista rivela che Giulietta è stata educata in un collegio di suore. Forse questa esperienza l’ha spaventata e segnata per sempre. Forse le manca l’amore di sua madre, che dà più valore all’aspetto esteriore che al benessere di sua figlia. Lo spettatore non capisce veramente la ragione per gli spiriti che l’accompagnano.

Giulietta, molto sconvolta, dopo aver scoperto il tradimento del marito, fa la conoscenza di una vicina, Susy, che la introduce nel mondo dell’amore “libero”. Susy trova anche per Giulietta un giovane amante, ma lei ricordandosi i principi morali impartiti al collegio di suore, fugge. Anche di quest’incontro non si sa se si tratti di un avvenimento reale o no.  Forse esiste solo della immaginazione di Giulietta, rivelando così il suo desiderio di vendetta verso suo marito, in cui anche lei lo tradisce. Alla fine cerca di liberarsi dalla moltitudine di immagini nella sua testa che non fanno che confonderla e conclude disperata: „Tutta la mia vita è piena di gente che parla, parla, parla… Andatevene! Fuori tutti di qui!“

Oltra all’alternanza tra realtà e immaginazione anche la conclusione del film è ambigua. Giulietta non ha più paura di confrontarsi con l’infanzia e poi sorridendo va in direzione del mare. Forse ha deciso di accettare il tradimento di Giorgio e di rimanere con lui. O forse ha deciso di lasciarlo. Addirittura la stessa attrice Giulietta Masina non ha potuto affermare con sicurezza il significato della fine

Nessuno è un’isola.

„Io non ho bisogno di nessuno.” Penso che con questa frase detta da Zampanò, Fellini voglia mostrare nel suo film, La strada, che ognuno nonostante quello che crede si deve rendere conto alla fine di avere bisogno di qualcun’altro.

I protagonisti principali, Gelsomina e Zampanò, vengono interpretati da Giuletta Masina, la moglie di Fellini, e Anthony Quinn, che a quel tempo non era ancora diventato famoso. Anche il personaggio del Matto viene interpretato da un americano, Richard Basehart. Due su tre protagonisti principali non erano italiani e non parlavano l’italiano. Infatti, quando il film è stato girato, i dialoghi che hanno recitato Quinn e Basehart erano in inglese, mentre i dialoghi degli altri attori erano in italiano. Questa particolarità del film è stata risolta in modo che Fellini ha girato le immagini senza il suono e poi ha caricato tutti i dialoghi in italiano con gli attori e i doppiatori italiani. Perciò si possono vedere scene nelle quali i suoni non corrispondono con i movimenti delle labbra degli attori.

Il film di Fellini gioca sul contrasto fra i caratteri. Si possono paragonare Zampanò e Gelsomina: lui è rozzo, un burbero, ha una disposizione violenta, diventa furibondo molto velocemente. Lei invece è ingenua, semplice, dolce, pronta a fare quello che le viene detto e accettare ogni situazione. E poi c’è il Matto. Anche lui è, come Zampanò, un saltimbanco, costretto a girare in tutto l’Italia per fare una vita. Eppure, rimane con il buon umore. Consiglia Gelsomina che ogni cosa, addirittura un sasso, serve a qualcosa e così anche lei ha un valore. Zampanò affronta ogni situazione e tutte le persone con impazienza e violenza; il Matto invece vede ogni situazione positivamente e filosoficamente anche se non ha. Con quel raffronto Fellini mostra che ognuno può scegliere come vuole essere e vivere nonostante la vita sia piena di difficoltà.

La sceneggiatura nel film può essere descritta generalmente come triste. Fellini mostra un’Italia dopo guerra in cui regna l’estrema povertà, cosicché una madre si sente costretta a vendere sua figlia per dieci mila lire affinché sia capace di mantenere gli altri figli. Quindi, un altro tema del film è la povertà, non solo la mancanza dei denari ma anche dell’anima. Zampanò si rende conto che ha perso qualcuno che lo amava ed era pronta a fare tutto quello che voleva, e qualcuno che – senza che si accorgesse prima – anche lui ama a suo modo. Così la perdita di Gelsomina era anche la perdita della sua anima, di sé stesso.Per citare il poeta famoso inglese, John Donne, “nessuno è un’isola”.

(Testo: Jamuna)

Gelsomina buffa e tenerissima

Credo di aver fatto il film perché mi sono innamorato di quella bambina- vecchina un po’ matta e un po’ santa, di quell’arruffato , buffo, sgraziato e tenerissimo clown che ho chiamato Gelsomina e che ancora oggi riesce a farmi ingobbire di malinconia, quando sento il motivo della sua tromba.

(F.Fellini)

È con queste parole che il regista Federico Fellini descrive Gelsomina, la sfaccettata protagonista del suo film La strada.

Ma chi è Gelsomina?  E come si presenta agli occhi attenti del pubblico?

Il film inizia proprio con una triste svolta del suo destino, che la vede è costretta a partire per aiutare la sua bisognosa famiglia. Parte con il saltimbanco Zampanò, che qualche anno prima aveva già “portato con sé” la sorella maggiore che di lì a poco sarebbe morta. Il rude Zampanò è un artista viaggiante che tenta di guadagnarsi da vivere con improbabili spettacoli in giro per l’Italia; una nazione, nei primi anni ’50 ancora molto povera e contadina. 

Gelsomina, ancora impreparata ad affrontare il mondo reale, viene scelta da lui come aiutante che lo dovrà assistere e accompagnare in ogni pezzo; vestita da clown dovrà introdurre il pubblico all’esibizione e presentare l’artista con la tromba. Da subito si può comprendere che Gelsomina sia una ragazza ingenua, ma al tempo stesso curiosa. Avendo molta voglia di conoscere il mondo e chi la circonda, assilla Zampanò con le più fantasiose domande, spesso dimenticando il loro gerarchico rapporto, ma è anche pronta ad assecondare ogni sua richiesta, nonostante lui non si prenda cura di lei nel modo giusto.

Ma le caratteristiche che il pubblico ha modo di apprezzare maggiormente sono quelle della Gelsomina sensibile e buona, che pur venendo spesso bistrattata e trascurata, si mostra sempre fiduciosa e riconoscente.

Lo dimostra non abbandonando Zampanò, bensì rimanendogli fedele, quando le viene proposto di seguire il mondo del circo, ricco di opportunità. Buona, perché anche davanti a un Bambino malato, che a quei tempi veniva tenuto nascosto come un motivo di vergogna, sente solo la voglia di provare a farlo sorridere senza alcun pregiudizio. Sensibile perché è una Gelsomina che viene profondamente scossa dall’aggressione al suo amico il Matto, e che, sentendosi responsabile per l’episodio, non riesce più a vivere serenamente. Fino alla fine dei suoi giorni ripeterà “Il matto sta male” senza darsi pace.

Gelsomina viene apprezzata dal pubblico per le sue massime capacità espressive: dal suo viso traspaiono sempre stupore e meraviglia. È una protagonista che fa tenerezza e come afferma il regista genera “un senso di malinconia” poiché, rappresentando sulla scena tante peculiarità della vita, familiari a ognuno di noi, si rende autentica e amabile.

Dove sei, Gelsomina?

“Gelsomina, Gelsominaa” si sente chiamare da voci fuori campo, la figura che vediamo solo di spalle nella prima scena di “La strada”. In questo film di Fellini viene anche affrontato il tema del lutto che divide la storia in tre parti.

All’inizio lo spettatore si ritrova in una spiaggia quasi deserta davanti ad una situazione difficile: la madre di Gelsomina è costretta nuovamente a vendere una figlia al rozzo girovago Zampanò. Questa volta si tratta di Gelsomina. La sorella, Rosa, aveva subito la stessa sorte poco tempo prima in seguito alla morte del padre ed era venuta poi a mancare in circostanze non pervenute. Non viene dato particolare spazio al dolore suscitato da queste due importanti perdite nei familiari, bensì ne vengono enfatizzate le ristrettezze economiche per giustificare la scelta di separarsi da un’altra figlia. Così Gelsomina inizia il suo viaggio al fianco di Zampanò, imparando i suoi trucchi e sopportandone a malincuore i maltrattamenti.

In seguito, l’incontro con il matto rappresenta un momento fondamentale nella storia così come la sua morte. “Morirò presto” ripete più volte il Matto a Gelsomina trasmettendoci un cattivo presagio. Viene infatti ucciso in una lite da Zampanò. D’ora in poi, Gelsomina, troppo turbata per rielaborare il lutto, non sarà più la stessa e per questo verrà abbandonata da Zampanò. La perdita dà inizio a un percorso di annullamento che piano piano la porterà alla morte.

La storia di Gelsomina si conclude nel luogo in cui era iniziata: una spiaggia. Il ciclo si chiude. Il fruscio del vento e dell’infrangersi delle onde vengono accompagnati dai singhiozzi disperati di Zampanò che si rende conto per la prima volta di cosa ha perso. Non servono parole per farci capire che Gelsomina alla fine è riuscita nel suo intento: Zampanò è stato redento.

E che strada prendi tu?

Quando un giorno incontrano di nuovo Il Matto, c’è una disputa tra i due. Zampanó uccide Il Matto. Gelsomina è disperata; con la morte del Matto, muore anche la gioia, la speranza e, in definitiva, la vita per Gelsomina. Alla fine, Zampanó se ne va e lascia Gelsomina da sola.

Anni dopo. Zampanò sente una donna cantare. Canta la canzone che Gelsomina ha sempre suonato alla tromba. Da questa donna apprende che Gelsomina è morta. È molto triste, mangia a malapena e piange molto. Una mattina, non si è svegliata.

Per la prima volta, Zampanó piange, incosciente di ciò che ha fatto a sé stesso e agli altri. Lui cerca di scaricare la sua rabbia bastonandosi in un bar. Alla fine, è sdraiato sulla sabbia vicino al mare.

Possiamo vedere questa storia come una grande metafora. La strada della vita di Gelsomina e Zampanò è destinata a incontrarsi, i percorsi e le diramazioni rappresentano le diverse possibilità che ci sono nella vita. Gelsomina è la personificazione dell’amore, della curiosità, dell’ingenuità e Zampanó è gretto, rude, rappresenta la forza e il desiderio materiale. Il Matto rappresenta la speranza e quando è ucciso la speranza muore con lui.

„La Strada“ mostra il mondo affascinante dei giocolieri, ma anche un mondo di periferie povere e case distrutte. Il film dipinge l’assurdità dalla vita. La tendenza alla mancanza di meta e la causalità degli eventi nella vita di Zampanò e Gelsomina cercando un proprio posto sono strutture presenti in ogni strato sociale. Ognuno porta alcune di queste tratte del carattere, la questione è quali decisioni ognuno prende. Nel caso di Zampanò vediamo un uomo le cui azioni crudeli lo raggiungono e arrivano alla consapevolezza facendolo sentire solo e privo d’aiuto.

Quello che possiamo imparare è che i nostri tratti del carattere non devono definire le nostre azioni. Sono le strade che prendiamo che contano.

Tutto quello che c’è in questo mondo serve a qualcosa. A qualcosa deve servire. Perché se non serve a niente, è inutile tutto. Anche tu servi a qualcosa.”

E Gelsomina non riesce a capire a che cosa lei stessa possa servire finché Fellini non ci dimostra quanto lei abbia cambiato o meglio reso vivibile la vita del nostro protagonista maschile, Zampanò.

Gelsomina non si accorge della sua qualità più preziosa che presenta durante tutto il viaggio accanto al suo rozzo compagno: è fedele, rimane sempre al suo fianco – una caratteristica che il Matto, a differenza di Zampanò, riconosce.

Il Matto e Zampanò: tutt’e due artisti di strada, tutt’ e due – come dicono – “non hanno bisogno di nessuno”. Fanno lo stesso lavoro e condividono lo stesso stile di vita. Vi sembrano simili? Non potrebbero essere più diversi. Il Matto non ha bisogno di nessuno perché lui stesso è la sua felicità, è uno spirito libero a cui non interessa ciò che potrebbero pensare gli altri. Non dipende da nessuno.

Zampanò invece è diverso. Rappresenta la violenza, l’egoismo e l’ignoranza. È la personificazione del narcisismo – sta bene se può far dipendere le altre persone da lui. È così pieno di sé stesso che non si rende nemmeno conto di respingere la cosa più cara che abbia, l’unica persona che lo fa stare veramente bene: Gelsomina.

Gelsomina è molto di più di una assistente stupidina per il rozzo Zampanò. Lo rende grande. Ma Zampanò non l’ha mai riconosciuta come il tesoro che è veramente – fino a quando la perde.  Preferisce mentire a sé stesso – una decisione che rimpiangerà. Alla fine della sua strada si trova solo su una spiaggia. Addolorato, devastato, un uomo distrutto.

Fellini ci fa capire quanto ogni essere umano sia prezioso e quanto un’altra persona possa arricchire la nostra vita. Ci insegna due cose: ognuno deve essere la sua felicità, ma questa felicità si moltiplica se la condividiamo con una persona che ci ama incondizionatamente e che ci accompagna sulla nostra “strada” – come avrebbe fatto Gelsomina, se solo Zampanò l’avesse acconsentito… Ognuno serve a qualcosa. Gelsomina serviva a Zampanò. Ora, senza di lei, per lui è tutto inutile. 

(Testo: Alina)

„Perché se questo è inutile, allora è inutile tutto, anche le stelle, almeno credo.“

In “La strada” di Federico Fellini vediamo come protagonista Gelsomina, una donna che vive in condizioni di estrema povertà insieme alla madre e ai suoi fratelli. Nella scena iniziale del film, il giocoliere girovago Zampanò dà dei soldi alla madre di Gelsomina perché vuole che la figlia lo accompagni nei suoi spettacoli in giro per l’Italia. Ed è qui che incomincia quella che per Gelsomina sarà una strada tutta in salita.

Vive girovagando per l’Italia a bordo di un carro, dove i due dormono; riceve continuamente ordini dal rozzo Zampanò e se non riesce in quello che le viene ordinato, viene malmenata. Viene anche abbandonata una sera in mezzo alla strada, mentre Zampanò sperpera i soldi guadagnati con gli spettacoli in donne e vino. Stanca dei tanti soprusi che è costretta a subire, fugge, ma quando Zampanò la ritrova, non riesce a fare a meno di tornare a lavorare per lui.

A questo punto vi è un cambiamento nei due personaggi principali. Da un lato Gelsomina sembra quasi diventare più matura, complice anche una interessante conversazione con un altro saltimbanco, il Matto; dall’altro il personaggio di Zampanò finisce per dimostrarsi sempre più rozzo e senza limiti: ruba all’interno di un convento e prima passa una notte in carcere per aver tentato di uccidere il Matto, poi in seguito lo ucciderà.

Qui le strade di Gelsomina e Zampanò si dividono: lei muore e quando il rozzo saltimbanco lo viene a sapere, scosso dalla notizia, dopo aver provocato una rissa, piange ubriaco.

Una meravigliosa Giulietta Masina nei panni di Gelsomina, prova in tutti i modi a smuovere la coscienza di un altrettanto sublime Anthony Quinn, Zampanò. Cerca continuamente la sua approvazione, dimostrazioni di affetto, ma non ottiene mai nulla in cambio. Forse solo con la morte di Gelsomina, Zampanò potrà finalmente imboccare la strada giusta.Anche perché come dice Il Matto a Gelsomina “se non ci stai te con lui, chi ci sta.”

(Testo: Carmine)

„Sono nato, sono venuto a Roma, mi sono sposato e sono entrato a Cinecittà. Non c’è altro.“ (Federico Fellini)


Non possiamo non meravigliarci della modestia che traspare da questa citazione pronunciata dall’artefice di una trentina di pellicole cult, il regista Federico Fellini.

Con Federico Fellini non sono nate solo opere d’arte filmiche, fonte di ispirazione e oggetto di studio di tanti registi e attori nazionali ed internazionali, ma anche neologismi della lingua italiana come felliliano, vitellone, paparazzo, dolce vita e amarcord, che hanno contribuito a diffondere vari cliché sull’Italia e sugli italiani in tutto il mondo.

Se da un lato questi rimandano a stereotipi di connotazione negativa, (il concetto di la dolce vita viene spesso interpretato come metafora di ozio, l’immagine del vitellone come il tipico italiano scansafatiche, mammone e latin lover), d’altro canto questi cliquè hanno reso internazionale l’espressione fotografica ed estetica della genialità artistica italiana.

Federico Fellini è probabilmente il regista italiano più conosciuto fuori dal proprio paese, è stato vincitore di 5 premi Oscar, è stato la voce che ha raccontato al mondo dell’Italia dagli anni ’30 agli anni ’90, partendo dal Fascismo per arrivare a descrivere il caos e il disorientamento degli anni ’90.

Nato a Rimini nel gennaio del 1920, quest’anno ne ricorre il centenario della sua nascita. Una strana coincidenza, proprio nell’anno più strambo dell’ultimo secolo, l’anno dell’inaspettato Covid-19, che sembra essere sorprendentemente idoneo a riscoprire il Fellini visionario, bravo a raccontare del caos, del sogno, dell’abnorme e dei bizzarri comportamenti di massa.

È dunque il momento giusto per riscoprirlo, riavvicinarsi alla sua poetica, apprezzare i suoi film. Federico Fellini credeva che l’arte potesse fare miracoli, trasformare la sconfitta in vittoria, la tristezza in felicità. Ma per poter afferrare questa chance, sia come artista che come fruitore, bisogna essere nella predisposizione giusta, saper applicare una certa igiene di “mente” o di “spirito”, a cui allude lo stesso Fellini già negli anni ‘80 nella sua biografia “Fare un film”. Di fronte al caos scaturito dall’uso incontrollato e commerciale della televisione e dei media scrive: “Sarebbe forse il caso che ogni tanto e per periodi lunghi, la televisione restasse spenta, la radio tacesse, i giornali smettessero di uscire, in modo che ognuno tornasse ad avere il tempo di occuparsi veramente di sé stesso, della propria individualità, magari soltanto per rimettere insieme i pezzi, i brandelli.”

Non dovremmo farlo anche noi prendendo le distanze dalla confusione generale di un’opinione pubblica resa insicura dalle proteste dei negazionisti e complottisti, dalle testate appariscenti dei giornali alla ricerca disperata di espedienti per richiamare l’attenzione di un pubblico ormai coinvolto personalmente nella diffusione di notizie ed opinioni attraverso i social media?

Alcuni dei film più importanti di Federico Fellini possono fare da specchio nel mostrarci scenicamente il caos – si pensi ad “Otto e mezzo”, allo smarrimento di Guido Anselmi di fronte alla produzione artistica del suo prossimo film, alla confusione nella sua vita privata. “Otto e mezzo” è un film di ricordi, sogni, dubbi ed incertezze, dove alla fine affiora la voglia di ritornare alla gioia ingenua e primitiva dell’essere bambini. Non è quello che desideriamo oggi anche noi, dopo tutte le varie forme di limitazione anticovid che condizionano la nostra vita?  

Nei film di Fellini possiamo scorgere anche l’origine di fenomeni del presente; si pensi ai truffatori in “Il bidone”, ai loro furbi espedienti, precursori di truffe moderne, non molto diverse da quelle si attuano oggi in internet. Altri film di Fellini ci lasciano invece perplessi, pieni di domande aperte, si pensi a “Casanova” o a “La città delle donne”.

Gli studenti della laurea magistrale  Italienisch e Romanistik: Kulturkontakte und Kommunikation presentano qui le loro prime impressioni spontanee dopo la visione dei film di Federico Fellini. Non si tratta dunque di contenuti che fanno riferimento a saggi critici o a una specifica letteratura secondaria, ma brevi testi ispirati da scene o frasi che hanno colpito in particolare l’attenzione degli studenti-spettatori, per la maggior parte appartenenti a una generazione cresciuta in un altro contesto storico-culturale, molto lontano ideologicamente, economicamente e culturalmente da quello in cui sono nate le opere felliliane.

I film presi in esame sono: “Le notti di Cabiria”, “La Strada”, “Giulietta degli Spiriti”, “La dolce vita”, “Otto e mezzo”, “Fred e Ginger”.  

Per facilitare la comprensione cliccando sull’apposito link troverete i testi dei podcast.  

Buon ascolto e a presto sul Blog della Sprachpraxis Italienisch alla HHU!

CINZIA TANZELLA

NOTA: „Sono nato, sono venuto a Roma, mi sono sposato e sono entrato a Cinecittà. Non c’è altro.“ (F.Fellini) Con questa citazione di F. Fellini si apre “L’alfabeto di Federico” di Oscar Ianussi, un glossario felliliano contenente  le definizioni di ventitré parole-chiave, indicatrici della poliedrica personalità del regista, lettura consigliata!


Non conta la distanza, ma la voglia di raggiungersi e imparare.

Ce l’abbiamo fatta! Le lezioni del semestre più imprevedibile si sono concluse. Dopo una breve vacanza mi permetto di fare mente locale su quello che ci lasciamo alle spalle. Per tredici settimane ci siamo sentiti in Zoom, abbiamo chattato in Rocket Chat e abbiamo tenuto una fitta corrispondenza per e-mail. Alcuni di voi si sono connessi puntualmente la mattina alle ore 8.30 per le lezioni in videoconferenza, a volte senza webcam o con una connessione lenta; altri hanno lavorato individualmente consegnando puntualmente i compiti settimanali e seguendo le precise indicazioni contenute nelle mie slides con audio o video.

Pensavate di non farcela all’inizio, vero? Era tutto diverso dal solito, inondati da una marea di informazioni provenienti da diversi mittenti sul cosa fare, sul dove, su quale portale lavorare, fino a quando, con date di scadenza scandite da ILIAS, a inizio semestre avete dubitato di farcela. Alcuni hanno effettivamente interrotto gli studi. Invece voi, proprio voi che state leggendo questo post, ce l’avete fatta! Anzi, ce l’abbiamo fatta. Abbiamo fatto e raggiunto quello che dovevamo fare e volevamo raggiungere prima del lockdown, però con altri mezzi (iniziando la giornata davanti al nostro schermo, magari solo dieci minuti dopo esserci alzati, usando la tastiera al posto della penna, a volte alla ricerca disperata del tasto giusto per l’accento o l’apostrofo) e in un altro luogo da quello previsto (non dal campus, ma da casa, dando addirittura una sbirciatina nelle camerette o nelle cucine altrui).  

In ogni caso tirando le somme si può dire che è stato un semestre in cui abbiamo imparato tanto, e non intendo solo le nozioni teoriche sulla lingua italiana né tantomeno la pratica del parlato e dello scritto nella lingua straniera. Abbiamo dovuto fare i conti anche con altro, con:

  • l’autodisciplina, imparando a lavorare autonomamente ed entro termini definiti;
  • una nuova routine da creare secondo ritmi propri di lavoro e in un angolino in casa, in cui riuscire a concentrarsi prendendo le distanze dalle circostanze esterne o da quelle familiari;
  • l’automotivazione, scavandoci dentro alla ricerca del filo conduttore che ci porta a fare anche quello che ci pesa, all’identificazione dei nostri obiettivi, che a volte, mentre si fa quello che si deve fare,  si perdono di vista. Perché facciamo certe cose, dobbiamo farle o lo vogliamo veramente? – Vi sarete posti sicuramente queste domande all’inizio del semestre, perché senza chiarezza di obiettivi non ci si può imporre di lavorare disciplinatamente;
  • la capacità di reagire con elasticità ai cambiamenti e alle limitazioni imposte dall’esterno e la capacità di adattamento a una nuova quotidianità universitaria;
  • l’uso compente e mirato di mezzi (computer, tablet, smartphone) per l’apprendimento digitale a distanza, che nell’era prima del Coronavirus erano ritenuti opzionali per l’apprendimento. Io d’altronde ho finalmente raggiunto l’obiettivo di lavorare senza fotocopie e finalmente smettere di pulire lavagne bianche luciccanti che mi lasciavano macchie incancellabili e vecchie lavagne verdi polverose usate da altri docenti che mi facevano puntualmente starnutire(!).  

Sono mancati i contatti sociali. Questo è stato il punto dolente. Mi auguro che questo ci abbia fatto riflettere sull’importanza dell’interazione quotidiana con gli altri, sulla presenza fisica degli altri nella nostra vita, nello specifico nell’aula a lezione, nei corridoi, per le vie del campus, in caffetteria. Colleghi di studio o docenti, chi ci è mancato? Chi non ci è mancato e perché? Quanto sono importanti effettivamente i rapporti sociali nella nostra quotidianità universitaria?

Altrettando degno di considerazione è stato un cambiamento nel nostro atteggiamento verso l’ovvietà del quotidiano a cui prima eravamo così abituati da non farne più caso, come se nessuno avesse mai potuto privarcene. Intendo banalità come uscire di casa la mattina e andare all’università con un mezzo pubblico, muoversi liberamente in città senza il panico di essere troppo vicini agli altri, andare a fare la spesa senza pensieri strani per la testa e senza mascherina. Ora sappiamo apprezzare quello che avevamo prima.

Insomma il semestre estivo è stato anche un semestre di riflessione.

Il prossimo semestre potremo continuare a lavorare arricchiti e più forti. Forse avremo ancora altro da imparare.

Mi preme ancora concludere con un ultimo spunto di riflessione, un aspetto da non sottovalutare.  

Il primo vero obiettivo dei corsi di italiano è di imparare a parlare a scrivere correttamente in lingua straniera, e a questo ci abbiamo lavorato assiduamente, settimana per settimana, con tecniche e metodi diversi. La pratica della lingua scritta ha prevalso nelle chat, in ILIAS, della lingua parlata nelle videoconferenze. È stato un semestre produttivo, in cui avete indubbiamente raggiunto un buon livello di conoscenza della lingua italiana. Vorrei ricordarvi che – non dimenticatelo mai- il vero grande obiettivo nell’imparare una lingua straniera è quello di padroneggiarla per conversare, interagire in quella lingua sia in ambito lavorativo che in un contesto privato. Acquisire un BN o superare l’esame con un bel voto sono traguardi importanti nel percorso universitario, sono un riscontro oggettivo sulla quantità di teoria appresa e studiata, ma l’obiettivo principale è ben più alto ed è su questo che dovete sempre puntare.

Non pensate che la distanza fisica creata dalle lezioni digitali possa essere un ostacolo per questo obiettivo. L’apprendimento per via digitale e online è in realtà una grande fortuna perché permette di lavorare da casa, in un ambiente familiare in cui ci si trova a proprio agio, come se si fosse in un laboratorio linguistico personale, in cui vengono esercitate tutte le abilità linguistiche. Solo ancora un soggiorno in Italia può aiutarvi a trasformare le vostre conoscenze in comunicazione viva e vissuta. Per fare questo nel frattempo lavoriamo a lezione simulando situazioni comunicative e rafforzando le strutture grammaticali.

Buone vacanze e a presto!

Cinzia Tanzella